lunedì 22 novembre 2021

Nati Morti (Alex Visani, 2021) Anatomia di un piccolo, grande film

Parlare di questo film mi farebbe venir voglia di sviscerare (come da tema) quel fenomeno a dir poco importante che sta diventando l’horror italiano di matrice underground, meno mainstream ma non meno interessante, anzi...le idee arrivano anche da luoghi sotterranei. Eccome se arrivano. E di luoghi situati nel sottosuolo si deve trattare per affrontare un discorso sul nuovo film di Alex Visani, una perla da non sottovalutare perché solo apparentemente è un film horror-splatter ed è invece un racconto molto più complesso e significativo. Dicevamo del sottosuolo: la protagonista della storia, la tassidermista Luna (una bravissima Ingrid Monacelli, sorprendente dopo esser stata un po' la scream queen di “Stomach”) si occupa di due corpi proprio in quella sorta di laboratorio situato nelle profondità di casa sua dove si concentra gran parte del racconto e avvengono molte scene clou. Sono i corpi di un vivo e di una morta. Lui, ferito, è un serial killer: lei la sua vittima. Luna si occupa di entrambi, cura lui e immortala il cadavere della donna con la macchina fotografica. Nel corso della storia il legame tra l’assassino (un carismatico Lorenzo Lepori nelle vesti di antieroe quasi romantico) e la tassidermista assumerà sempre più rilevanza, ma di più non voglio dire. Basti sapere che il malessere dell’assassino, assalito dalla febbre, darà sfogo ad una scena onirica che da sola vale la visione del film, tanto è folle, sanguinosa e inquietante quanto realistica a suo modo. Ma il film non è solo quello e invece tutto l’insieme forma qualcosa di lineare all’apparenza ma che saprà prendere alla gola (e al cuore) quelli che come noi, cioè i romantici decadenti, hahaha! Credo molto in quello che fanno Alex Visani e Lorenzo Lepori, potrebbero essere davvero la nuova svolta dell’horror italiano. Il loro lavoro a parer mio è solo da apprezzare. Avanti così.

domenica 23 maggio 2021

Christiane F.- Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino: Una triste storia vera

Il Sound, “la discoteca più moderna d’Europa”, come viene descritta nei manifesti che pubblicizzano il locale notturno: si tratta del luogo dove Christiane inizia il suo percorso di fuga dalla realtà, probabilmente anche dalla sua stessa vita. Vive a Berlino, in un quartiere dormitorio, dove ai bambini è vietato giocare, non possono fare quasi niente. La madre è quasi sempre assente, il padre violento e con problemi di alcol dopo aver riversato per anni le sue frustrazioni sui suoi ha abbandonato la famiglia e anche la sorella di Christiane lo segue ben presto, lasciando la ragazza quasi del tutto sola. Quindi a Christiane non resta che trovarsi nuovi amici che le facciano dimenticare la sua situazione. Prova di tutto, fin dall’età di dodici anni inizia con droghe leggere per poi passare lentamente all’eroina. Arriva a “bucarsi” per la prima volta all’età di quattordici anni e da lì precipita nella degradazione, in un percorso autodistruttivo dove sovente è consapevole di ciò che sta facendo a sé stessa. Si vende per avere i soldi utili a comprarsi l’eroina, ogni giorno è come invaso da questo continuo ossessivo bisogno. Lei agisce così, pomeriggio dopo pomeriggio, abbandonata a sé stessa, con la sola compagnia di amici con il suo stesso problema. Troverà pian piano la forza di uscire da questa spirale ma come sappiamo dai due libri su questa storia non ne è mai uscita del tutto, purtroppo. Il primo libro è di certo il più sconvolgente, l’ho letto in questi giorni dopo aver visto la miniserie. “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” è un autentica mazzata, soprattutto per chi ha un po' la mia empatia nei confronti di determinati argomenti e situazioni. Il film di Uli Edel del 1981 non è da meno, anche se glissa su alcuni eventi e situazioni narrati nel libro. Confesso che quando lo rivedo i miei condotti lacrimali tendono pericolosamente a implodere. Può infatti risultare inquietante e deprimente, ma secondo me risulta ancora attuale per chi vuole capire il problema della droga e ciò che causa in ogni individuo che diventa succube, schiavo di essa. Il film lo vidi a scuola e mi sembra tuttora più inquietante di qualsiasi film horror, perché tratto da un qualcosa di vero e immensamente triste. Poi mi fece conoscere la musica di David Bowie, il brano “Heroes” lo associo sempre a questo film. Consigliato a chi non ha paura di avere a che fare con la realtà nuda e cruda, con uno spaccato di storia degli anni settanta.