Non ricordo con precisione quando è uscito da noi (forse nei primi
mesi del 2003), ma c'è un fatto di incontrovertibile verità: The
Ring di Gore Verbinski mi ha cambiato la vita. Non so se in
meglio ma è la pellicola che mi ha dato la spinta definitiva ad
interessarmi all'horror e a viverlo con soddisfazione. Prima
vivacchiavo di trailer e action figure mostriformi, ma stentavo nel
vedere film horror perchè ne avevo paura. Samara Morgan ha sdoganato
tutto, poco importa se prima sono venuti Sadako e Hideo Nakata.
Per primo ho visto il film di Verbinski e ricordo ancora il vago
terrore, al cinema, che sul finale, è diventato paranoia. Per una
settimana (“Sette giorni...” direbbe la cara ragazza) ho avuto
timore che il televisore in salotto si potesse accendere da solo.
Questo panico, questa angoscia la devo a Gore Verbinski, allo
sceneggiatore Ehren Kruger e alle loro capacità nel saper infondere
suspense e orrore in una storia altrimenti abbastanza classica e
forse scontata. La solita maledizione rancorosa aggiornata in tempi
(non più) tanto moderni.
Questo tipo di film horror e più o meno, se non con la stessa
qualità e energia, la stessa paura li ho ritrovati un po' in
Unfriended e in Friend Request. Due esempi , questi sì
modernissimi, di film che cercano di incutere paura per la tecnologia
e per me un po' ci sono riusciti.
Ma non mi dimentico delle mie giornate ansiogene, quando, seppur con
un po' di divertimento, guardavo la tivù per controllare se Samara
potesse fare capolino e trascinarmi in chissà quale aldilà
lovecraftiano e buio.
Poco importa se il secondo film, ad opera di Nakata, è meno “technology oriented” e se il tardo terzo capitolo film di Gutierrez non è “fresco” come il primo. Non posso scordarmi di Naomi Watts, che per come la vedo io nei primi due film fa uno dei ruoli più incantevoli della sua carriera. Come non posso scordarmi di quei capelli lunghi, di quel corpo pixelloso che usciva nel mondo attraverso una stanza asettica, prendendosi una vita.